Il Tartufo, storia di un alimento affascinante e misterioso
Il Tartufo, storia di un alimento affascinante e misterioso
L’Umbria è terra di tartufi da sempre: gli antichi Umbri chiamavano “tartùfro” quel “sasso profumato”. E ne introdussero l’uso e la conoscenza in tutta la penisola. Gli uomini che sopravvissero al diluvio, che i Greci chiamavano “ombrikoi”, già conoscevano il meraviglioso frutto della terra.
I Babilonesi lo ricercavano tra le sabbie dei deserti orientali; Greci e Romani ne furono grandi ammiratori al punto da attribuirgli qualità divine. Ma la più antica memoria storica autentica proviene dagli studi naturalistici di Teofrasto di Ereso (371-287 a.C.), allievo di Aristotele, al quale si deve la prima classificazione dei funghi. Secondo Teofrasto, i tartufi scaturivano dall’incontro tra le piogge autunnali e il tuono. La loro particolare natura ipogea li fa chiamare idnon, nascosti, da cui nacque il termine idnologia, la scienza che li studia Il tartufo compare nella Roma repubblicana di Cicerone (106-43 a.C.), che lo menziona come “figlio della Terra”. Le sue tracce si fanno più evidenti nell’età imperiale, quando diventò protagonista indiscusso dei ricercati convivi di Marco Gavio Apicio (25 a.C. – 37 d.C.) che Seneca definiva un “crapulone”. Nerone ne parlava come “cibo degli dei”. Alla corte dell’ultimo imperatore della dinastia Giulio-Claudia, c’era anche il medico e botanico greco Dioscoride (ca. 40-90 d.C.), che si occupò del tartufo nel De materia medica, un’opera erboristica che influenzò in modo profondo la storia della medicina. Ma la più accurata analisi scientifica dei tartufi, del I secolo dopo Cristo, è senz’altro quella riportata nella Naturalis Historia (XIX, 11-13), in cui Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) li definisce “callo di terra”.
Non si coltiva e non si può riprodurre: il fascino del tartufo è nel suo mistero.
Figlio della terra e del buio, cresce vicino alle radici degli alberi. Non si coltiva e non si può riprodurre. Cresce nell’oscurità del terreno, aggrappato alla vita grazie alle radici degli alberi. Per preservare e propagare la specie, ha solo un’arma: la sua fragranza. Un richiamo irresistibile. Qualcosa di ancestrale che si propaga nel terreno, affiora in superficie e imprigiona l’olfatto, una fragranza indescrivibile e inspiegabile, decisa e distinta.
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