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Dolci umbri, origini e simbologie

Dolci umbri, origini e simbologie

Il fiume Tevere è per l’Umbria non solo la spina dorsale naturale della regione, è il luogo dove uomo e natura hanno saputo, in armonia, insediare e far crescere un’intera popolazione, con le sue tradizioni, usi e costumi. Il territorio etrusco si estendeva fino al mare Tirreno e, fu proprio attraverso il mare, che gli Etruschi entrarono in contatto con popolazioni, culture e cibi diversi. Gli Umbri invece, sulla destra del fiume, erano lontani dal mare, perciò si servivano solo di cibi a chilometro zero. La caratteristica delle due popolazioni si può riassumere in due piccoli frutti, ma ricchi di significato: la mandorla e la noce. Gli Etruschi usavano le mandorle, gli Umbri le noci. In quei tempi lontani gli alberi erano legati a un concetto di sacralità e di buon auspicio. Il mandorlo era visto come portatore di benessere e felicità, mentre il noce era legato alle pratiche della stregoneria. Tuttavia, malgrado la cattiva fama dell’albero, si mangiava il frutto e si usava il legno. Gli usi differenti li ritroviamo ancora oggi nei dolci, fedeli alle proprie radici e custodi delle antiche tradizioni. Di origine etrusca sono il torciglione e le fave dei morti. Il torciglione è un dolce natalizio secco a base di farina, zucchero, mandorle e pinoli, a forma di serpente arrotolato, o forse di anguilla di lago che si morde la coda. Secondo la tradizione, le sue origini risalirebbero alle popolazioni pagane del Trasimeno, che volevano così richiamare la ciclicità dell’anno che muore e rinasce. Le Fave dei Morti sono piccoli biscotti a forma di fava, fatti di pasta di mandorle e zucchero, tipici della ricorrenza di Ognissanti. Il nome stesso ci dà l’idea di quanto l’origine di questa usanza sia antica. Si preparavano in occasione di un funerale e si consumavano sulla tomba del defunto durante il banchetto funebre. Questi dolci sono evocativi del frutto, le fave per l’appunto, che erano già intese come nutrimento dei ‘lemuresì’ ovvero le anime dei morti, nella festività romana dei ‘Lemuria’ ai primi di maggio. Noci e nocciole erano invece cibo per poveri e questo caratterizava il lato sinistro del Tevere. Anche se poveri gli Umbri hanno elaborato un dolce che è il loro vanto e che tutti conoscono: la Rocciata. Le sue origini sono antichissime e se ne trova una traccia non troppo dissimile anche nelle Tavole Eugubine del III/II secolo a.C. Secondo alcuni storici c’è anche un’influenza Longobarda: è infatti simile a uno strüdel, con mele e noci avvolte in una pasta sottile. La sua sagoma a spirale è carica di simbologia ed esprime la forma ciclica e rotatoria dell’anno nel momento in cui la fine si collega con l’inizio. Anche nei Maccheroni dolci le noci sono l’ingrediente principale. L’origine potrebbe essere greco-bizantina, come suggerisce  l’etimologia, seppure controversa, dal greco makarios (beato). Si preparano infatti in occasione delle feste di Ognissanti e si mangiano anche la sera della vigilia di Natale. La ricetta prevede come ingredienti: maccheroni, noci, zucchero/miele e alchermes. Ancora oggi la linea di demarcazione rappresentata dal Tevere si ritrova nella cultura gastronomica, che resta fedele alle sue origini ed evidenzia l’antico dualismo territoriale, fonte talvolta di varietà e ricchezza.

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